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IL GATTO CON GLI STIVALI

IL GATTO CON GLI STIVALI copialibero adattamento della fiaba di C. Perrault

testo e regia di Pier Paolo Conconi

con Luisella Conti, Margherita Lavosi, Antonella Masala, Stefano Chessa, Consuelo Pittalis,

scene Virginia Melis
costumi Luisella Pintus
disegno luci Paolo Palitta
scenotecnica e fonica Michele Grandi
maschere e pupazzi Andrea Deledda e Giommaria Manunta

VIDEO PROMO

 

La trama
“Un mugnaio lasciò per eredità ai suoi tre figli solo il mulino, un asino e un gatto. Il figlio maggiore ebbe il mulino, il secondo l’asino, e il più giovane solamente il gatto. Quest’ultimo non sapeva darsi pace per avere una parte così misera e si lamentava della triste sorte e della fame. Allora il Gatto prese a parlare e gli disse: – Non disperarti. Trovami un sacco e un paio di stivali per camminare in mezzo ai boschi e ti farò vedere che la sorte non è stata tanto cattiva con te quanto tu credi…” Eh si! E’ proprio la storia del Gatto con gli stivali, come la conoscete e come vi è sempre stata raccontata, con gli stessi personaggi e con gli stessi eroi, e, siccome anche a noi è sempre piaciuta così, così l’abbiamo voluta mettere in scena, col giusto rispetto che si deve ad un signor Gatto con tanto di baffi e di stivali che sembra un moschettiere, anzi assomiglia a D’Artagnan, e guarda guarda, sa persino parlare ed è veramente astuto, soprattutto con i prepotenti come l’orco.

La messa in scena
La nostra versione teatrale del gatto con gli stivali, non diversamente dalla favola di Perrault, affronta il tema dell’amicizia tra l’uomo e l’animale, perché l’uomo ha molto da imparare dagli animali che non finiranno mai di stupirlo per la superiore sapienza e per quel senso di fedeltà che lui spesso dimentica e l’animale mai tradisce; il tema dell’ingegno capace di superare le più gravi difficoltà: come, per esempio, uscire dalla miseria senza avere una lira in tasca, farsi ricevere da un re ed ottenerne vestiti regali e in sposa la figlia, o come sfidare e sconfiggere un nemico molto più forte e terribile e potente ma meno astuto; ma anche il tema della fortuna che va saputa prendere al momento giusto: la favola insegna che bisogna anche saper rischiare nella vita, qualche volta azzardare e se i mezzi usati per vincere non sembrano i più “morali”, non dimenticate che il gatto, con il giusto senso delle cose, li usa solo con chi è già prepotente e comunque a fin di bene: d’altronde gli Achei presero la città di Troia non con il valore schietto di Achille, ma con il “trucco del cavallo” di Ulisse. Infine non manca il tema dell’ironia, del saper sorridere delle nostre peripezie e vedere la vita anche con un certo distacco ironico, cosa che ci aiuta tanto a non lasciarci sopraffare dall’auto compiacimento delle nostre sventure.

Riferimenti all’esperienza del bambino e/o adolescente
Quale bambino non si troverà prima o poi a fare i conti con le difficoltà della vita, con gli ostacoli pesanti che si frappongono fra i loro desideri e la realtà di partenza: sarà bello allora scoprire di avere un amico sincero, di saper reagire alla sfortuna con buon viso ed anche con audacia: niente, probabilmente, è impossibile se lo vogliamo; e sarà molto importante avere astuzia e tempismo e sapersi buttare sulle cose, non in modo avventato, ma con intuito ed ingegno. La favola è un buon modello per affrontare serenamente l’avventura della vita ed anche, non dimentichiamolo, per amare e avere rispetto degli animali.

Struttura drammaturgica
Lo spettacolo è costituito da una cornice e dalla storia vera e propria: la cornice, realizzata con pupazzi, ha la funzione narrativa di esordio e di epilogo tipica dello stile dello scrittore Charles Perrault e permette di introdurre come personaggi lo stesso Perrault e una M.me De L’Oca che deriva ovviamente dal titolo della raccolta di fiabe dell’ingegnoso narratore “I racconti di mamma Oca”.
La storia invece è recitata da attori (alcuni con la maschera, altri senza) e ripercorre, in forma spesso parodistica, i momenti salienti della famosa favola, con un accentuazione comica delle figure del re, della principessa sua figlia e di un improbabile servitore tuttofare :portinaio, guardia, cuoco, cancelliere, cocchiere, sarto e facchino nonché consigliere segreto e fidato della principessa.
Non sfugge alla comicità lo stesso giovane amico, protetto e protettore, del gatto. E lo stesso Orco, pur essendo abbastanza “mostruoso”, non è immune da una certa “imbecillità”. Il Gatto ovviamente ci fa la sua bella figura, ma si sa, gli animali la sanno più lunga dell’uomo che si stupisce che il felino parli e non immagina che se ciò non accade più spesso, anche con gli altri animali, è perché lui, uomo, è troppo preso dalla sua superbia e dalla sua stoltezza.
Metodo di lavoro usato dalla compagnia nella creazione dello spettacolo “Contaminazione” o “insalata di storie” potremo chiamare una delle tecniche di creazione dello spettacolo della nostra compagnia. Il nostro procedimento infatti prevede, nella prima fase, la lettura di testi diversi, attinenti per diversi motivi al soggetto scelto, e la scoperta di situazioni adattabili e pertinenti alla nostra storia, da combinare in modo equilibrato rispetto alla struttura originaria della fiaba. Può capitare, perciò, nel nostro spettacolo di ritrovare qualcosa della Gabbianella e il Gatto, o del Cyrano de Bergerac o della versione teatrale del Gatto con gli stivali del Tieck. Una seconda tecnica è quella di partire dalle “situazioni-base” della fiaba e lasciare libera invenzione all’improvvisazione degli attori. Una terza tecnica è quella di provare le stesse scene con linguaggi teatrali differenti in modo da coglierne le migliori sfumature. Infine grande importanza ha la scelta della musica, che non è mai di sfondo o di contorno, diventa anzi significazione dei personaggi- chiave e motore produttivo delle immagini: nel caso del Gatto con gli stivali è stata, per noi, determinante la scoperta di un disco di straordinarie musiche ungheresi tradizionali.

Linguaggi teatrali utilizzati
Il Gatto con gli stivali è uno spettacolo dedicato ai ragazzi della scuola materna ed elementare, di tecnica mista d’attore e pupazzi, con utilizzo di musiche,maschere ed oggetti, che vuole rispettare la storia nelle sue linee essenziali e intende ricreare nella scena la fascinazione diretta del “racconto” in modo da far seguire le sequenze delle scene così come il bambino ascolta incantato la fiaba dalla madre, senza altri fini se non quello del piacere, puro e nudo, della storia. E il piacere della storia in sé non vuole negare la capacità critica del bambino spettatore a teatro né vuole rinviarlo a mondi della fantasia dolciastri, di facile e frettolosa messa in scena e di fuga dalla realtà, ma, rifiutando intenti direttamente didascalici e moralistici, vuole richiamare l’attenzione sui meccanismi del raccontare e sulla valenza educativa intima della fiaba, che, nella sua semplicità, fa riflettere sulla varietà della vita, sull’importanza di affrontarla con intelligenza, volontà e audacia, ma anche sul caso e la fortuna, che talvolta si fanno aiutare dall’astuzia.