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ANFITRIONE ovvero LET ME BE THE ONE

ANFITRIONE copiada Plauto, Molière e Kleist
adattamento e regia di Pier Paolo Conconi

con Stefano Chessa, Luisella Conti,
Maurizio Giordo, Nadia Imperio,
Antonella Masala e Consuelo Pittalis

disegno luci di Paolo Palitta
scenotecnica e fonica di Michele Grandi
costumi Luisella Conti e Nadia Imperio

 

 

 

 

Premessa
Questa è una storia di corna, ma di corna mitologiche, un dio (il più importante, Giove) che si sostituisce ad un uomo, Anfitrione, per godere dei piaceri della moglie, la bellissima Alcmena; una storia cinica e scanzonata da leggere nella sua immediata leggerezza e brutale comicità.
Questa è la storia di persone che si imbattono in individui perfettamente a loro identici, storia di sosia quindi, anzi, di “Sosia” e del suo doppio Mercurio e di Anfitrione e del suo doppio Giove. Con tutto lo sconquasso e gli equivoci che ne derivano.
Questa è una storia di coppie: due potenti signori, due servitori e due donne; oppure: due divinità, due uomini e ancora due donne; o, meglio ancora: il signore degli dei, Giove, e il suo migliore aiutante d’affari loschi, il dio Mercurio, il re di Tebe Anfitrione e il suo servo Sosia, la regina di Tebe Alcmena e la sua fida ancella Caride.
Una storia intima e discreta, appunto, da vivere tra le mura domestiche, dove si lavano i panni sporchi di famiglia, una storia importante perché ne nascerà il più grande eroe mitologico della cultura occidentale: Ercole.

Trama
La commedia narra la vicenda Anfitrione, eroe tebano, che si allontana da casa partendo per la guerra e lasciando la moglie in dolce attesa.
In sua assenza entrano in scena due divinità: Giove e Mercurio, trasformatisi rispettivamente in Anfitrione e il suo servo Sosia. Giove, infatti, desidera trascorrere una notte con Alcmena; in assenza del marito della donna, si trasforma in quest’ultimo dormendo per una lunga notte con lei.
Ma l’episodio che più colpisce è il diverbio, una volta tornati dalla guerra i veri Anfitrione e Sosia, che ha luogo tra Mercurio e quest’ultimo: entrambi conservano lo stesso aspetto, ma si nota anche come il vero Sosia si trovi spaesato al vedere un altro individuo uguale a lui fisicamente e caratterialmente che oltretutto conosce ogni minimo particolare della loro spedizione in guerra. Questa vicenda si svolge parallelamente all’altro diverbio che vede come protagonisti Alcmena e Anfitrione il quale si trova nelle stesse condizioni del suo servo, in quanto la moglie sostiene di aver trascorso la notte con lui, nonostante egli fosse in guerra.
Quando Anfitrione viene a conoscenza della vicenda di Sosia, rientrano in scena Giove e Mercurio che rendono noto alle vittime della beffa il reale svolgimento dei fatti. Anfitrione si deve così arrendere al volere degli dei ed è costretto ad accettare il figlio che è stato concepito nella notte che Giove e Alcmena hanno trascorso insieme.

Note di regia
Forse la nota più caratteristica di questa nostra rivisitazione di “Anfitrione” è l’uso delle maschere, secondo il gusto della commedia attica (mentre il teatro platino pare facesse più affidamento sulla mimica facciale) per la realizzazione dei personaggi da parte degli attori, in questa nostra versione ce ne riappropriamo proprio per caratterizzarne il carattere ludico, clownesco e grottesco. Il nostro spettacolo, infatti,vuole essere una scatenata e divertente reinvenzione dell’Anfitrione Plautino in cui l’elemento comico della burla divina si combina modernamente col tema dell’identità perduta. Una messa in scena dinamica e frizzante, un’esilarante gioco degli equivoci, con tanti momenti di divertimento, in cui tutto è grazia e leggerezza, anche la violenza. La commedia contiene il basso e l’alto, l’umano e il divino, l’eroismo ed il cinismo, tutto concertato con grande eleganza.
Da qui il nostro adattamento: partendo dagli “a parte” di Plauto e passando per Molière, che introduce il nuovo ruffianissimo personaggio della Notte, e Kleist, abbiamo pensato di creare un’atmosfera arcana e surreale dove si alternano battute di spirito, schermaglie, ingiurie, smargiassate e scene clownesche, mantenendo la complicità che Plauto fa nascere tra palcoscenico e platea giocando con leggerezza e ironia sulle vicende degli uomini e degli dei
La scelta del linguaggio grottesco ci ha permesso di meglio giocare l’ambiguità dello scontro tra il reale e il suo doppio, la finzione, lasciando da parte il moralismo per una comicità più immediata, tra farsa crudele e ironia grottesca, e per una riflessione più scoperta sull’artificio della macchina teatrale, con un gioco scenico capace di unire al comico il fantasioso e il magico.

Amoroso di Alcmena, Giove, entrato
Nell’aspetto del coniuge di lei,
Fa visita alla donna mentre quegli
I nemici combatte. Aiuta Giove
Travestito da Sosia, il dio Mercurio
Raggirando, al ritorno, Anfitrione e
Il servo suo. Lo sposo contro Alcmena
Ora aizza la folla e investe Giove
Nessuno il vero sposo sa distinguere
Eppure tutto si chiarisce.

Acrostico di Tito Macco Plauto