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Oliver Twist

da Charles Dickens

con Daniela Cossiga, Stefano Cossu, Davide Deiana, Luca Dettori, Maurizio Giordo, Antonella Masala, Andrea Maurizi, Sante Maurizi, Ludovica Sanna, Carlo Valle, costumi Daniela Cossiga, disegno luci Toni Grandi, luci Paolo Palitta, scenotecnica Michele Grandi, allestimenti Progetto Palco, assistente ai costumi Claudia Spina, aiuto regia Antonella Masala, adattamento, scene e regia Sante Maurizi

Lo spettacolo è inserito fra le iniziative Dickens200 organizzate dalle cattedre di lingua e letteratura inglese dell’Università di Sassari  in occasione del bicentenario della nascita di Charles Dickens.

video spettacolo   spot      animated Pollock’s toy theatre

Notte di tempesta. Alla porta di un orfanotrofio bussa una giovane vagabonda. Ha solo il tempo, prima di morire, di mettere al mondo un bimbo: Oliver Twist, che cresce fra maltrattamenti e privazioni  finché, all’età di nove anni, fugge verso Londra.  Un giovane borsaiolo lo introduce in una banda di ladri capeggiata dal vecchio Fagin. Durante una delle scorribande, il gruppetto deruba il ricco Mr. Brownlow; Oliver fugge, ma è scambiato per il vero ladro e arrestato. Bronlow lo discolpa e lo ospita nella propria casa, ma per ordine di Fagin, Oliver viene ripreso dalla banda e costretto a partecipare a una nuova impresa.  Le tribolazioni del ragazzo non sono finite…
La Londra della prima metà dell’800: folla, nebbia, fumo, mercati, miseria e ricchezze incalcolabili, catapecchie e palazzi sontuosi, bassifondi e quartieri splendenti nella città allora centro del mondo. Charles Dickens (1812-1870) ha “messo in scena” come nessun altro storie e personaggi di quell’epoca gloriosa e terribile. In Oliver Twist, secondo romanzo dopo Il Circolo Pickwick, vediamo all’opera il bene e il male, la violenza e la carità, l’innocenza e la corruzione. Soprattutto l’infanzia abbandonata, umiliata, sfruttata: tutti i temi a Dickens più cari, anche per aver vissuto a dodici anni l’esperienza di dover abbandonare gli studi e lavorare in fabbrica dopo l’incarcerazione per debiti del padre. Il romanzo(un “patchwork di generi“), pubblicato a puntate sulla rivista Bentley’s Miscellany fra il 1837 e il 1839,  ebbe grande successo anche grazie alle illustrazioni di George Cruikshank, uno dei più noti caricaturisti dell’epoca. Con Oliver Twist Dickens crea uno dei primi esempi di romanzo sociale, concentrando la sua attenzione sul  lavoro minorile, sul reclutamento di bambini come criminali, sulla presenza di “bambini di strada” e sul gran numero di orfani della sua epoca. Come sempre, però, accanto a tali temi Dickens non disdegna il sarcasmo e l’umorismo per mettere in ridicolo le ipocrisie sociali.
L’allestimento dello spettacolo vuole essere un omaggio alla tradizione dei “toy theatre”. Oliver Twist è stato l’unico romanzo di Dickens ad essere adattato per questi popolarissimi teatri giocattolo del XIX secolo che riproducevano in scala ridotta il palcoscenico con boccascena, quinte e fondali. Su carta più spessa erano stampati i personaggi e l’attrezzeria, che i bambini potevano ritagliare e incollare all’estremità di bacchette per muoverli sul palco al ritmo di battute tratte da un piccolo copione annesso al gioco. Anche Dickens aveva giocato con i  “toy theatre”: era un bambino malaticcio, e mentre gli altri ragazzi giocavano a cricket, Charles leggeva. All’età di nove anni un cugino gli regalò appunto uno di questi teatrini, nel quale Charles rappresentava Tom Jones o le Mille e una notte.

 

        Oliver Twist - cast edizione 2014 - La botte e il cilindro, Sassari

 

Charles , Oliver e il teatro.

C’era (c’è) in tutte le collane di narrativa per ragazzi. Se un adulto di oggi è stato un giovane lettore, Le avventure di Oliver Twist – assieme ai Tre Moschettieri, Le tigri di Mompracem o L’isola misteriosa – ha contribuito a modellarne fisionomia e sensibilità. Condividendo, tutti quei libri, una curiosa parabola: nati in quel secolo formidabile che fu il diciannovesimo come romanzi a puntate su riviste (acquistate dallo stesso pubblico che si sarebbe poi accomodato al buio delle sale cinematografiche), nei decenni successivi sono  diventati libri esclusivamente per i più piccoli. Magari emendati da lungaggini o particolari ritenuti inadatti a loro. Prendete Oliver Twist. La prima immagine è quella di una donna che muore di parto. Suo figlio verrà maltrattato, affamato, indotto a vagabondare e a unirsi a ladri e piccole prostitute, una delle quali verrà uccisa “Little Charles Dickens at the Blacking Warehouse” Charles Dickens: Some Notes on His Life and Writings. With eight portraits, thirty-seven illustrations and facsimiles of his handwriting and autographs. London: Chapman and Hall, [1902].bestialmente dal suo protettore, il quale muore bestialmente nel tentativo di fuggire.  Sarà “adatta ai ragazzi” una storia così? Ci sarebbe poi un altro problema, il fatto che Dickens lo si ama o lo si odia, e Oliver Twist forse ancora di più, ma andremmo troppo lontano. Di recente, il “Financial Times” (quello a cui si premette ‘il prestigioso’ a seconda delle pagelle che assegna al nostro Paese) ha citato Oliver come il primo dei cinque libri che hanno contribuito a migliorare il mondo (gli altri: “La capanna dello zio Tom”, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, “La notte” di Wiesel e “Mattatio n.5″ di Vonnegut). Mi pare che il secondo romanzo di Dickens sia in ottima compagnia.

All’epoca della pubblicazione molti pensarono fosse “volgare e urtante aver scelto a protagonisti i maggiori delinquenti e gli individui più depravati della popolazione londinese”. Così scriveva Dickens stesso nella prefazione all’edizione del 1841. Il suo era un fine morale: “Pensai che rappresentare un gruppo di delinquenti, quali realmente sono, ritrarli in tutte le deformità, in tutta la malvagità, in tutta la squallida miseria della loro vita, fosse cosa utile e tale da rendere un servigio alla società”. A dispetto del successo che lo scrittore ottenne in vita (ed è bene ricordare che scrisse Oliver a 25 anni!), non furono però gli aspetti “immorali” dei suoi personaggi a stizzire i lettori di una generazione dopo.

Nel capitolo su Oliver Twist del suo Dickens, a critical study (1898) George Gissing considerava severamente la “sorprendente mancanza di abilità nell’inventare situazioni plausibili. Nelle sue trame, purtroppo, Dickens si è raramente interessato  ai semplici motivi della vita umana. Troppo spesso preferisce un po’ di inverosimile eccentricità, qualche furfanteria, qualche evento poco probabile su cui impostare la storia. A me pare che tutto ciò sia  direttamente riconducibile alla sua passione per il teatro. Progettava i suoi romanzi come fossero copioni per il palcoscenico. L’amore di Dickens per il teatro era certamente una disgrazia per lui, come autore e come uomo”. Difficile dissentire dal dato, ma ancor di più concordare con l’inflessibilità del giudizio. “Make ‘em  cry, make ‘em laugh, make ‘em  wait” sarebbe stato il motto di Wilkie Collins, amico e sodale di Dickens. “Falli piangere, falli ridere, falli aspettare”: ogni epoca ha il suo modo di intendere le parole “realistico” e “verosimile”, ma non è tanto importante adeguare ad esse trame o personaggi, quanto saper costruire il lettore ideale, quello che abbocca all’amo dell’autore. In ciò Gissing aveva ragione, perché fra Dickens e il teatro fu amore vero.

A sette anni scrive un copione, ora perduto, dal titolo “Misnar, sultano dell’India”. A dieci riceve in dono un  toy theatre che diventerà il suo giocattolo preferito. A venti un raffreddore lo blocca a casa prima di un provino a Covent Garden che avrebbe potuto cambiare la sua vita. A ventidue partecipa a una produzione amatoriale dell’operetta Clari, the maid of Milano (quella della famosa canzone “Home sweet home”) . Due anni dopo scrive The village coquettes, un’operetta che avrà scarso successo, e The strange gentleman, che invece va in scena con ottimi riscontri nel settembre 1836 e per una cinquantina di repliche. Il contemporaneo successo dei Pickwick Papers,  e poi di Oliver Twist, trasformeranno il cronista/stenografo appassionato di teatro in uno scrittore a tempo pieno. Quella passione lo accompagnerà però tutta la vita. Nel 1845 mette su una compagnia per recitare per beneficienza  Every man in his humour di Ben Johnson, e l’amico e biografo John Forster, suo collega in scena, testimonia che l’antico amore per il palcoscenico si risvegliò in Dickens , che “faceva tutto senza sforzo: era direttore, falegname, macchinista, costumista, suggeritore; sapeva tener tutto e tutti in buon ordine, senza offendere nessuno”. Saranno tante le occasioni che lo vedranno in seguito attore e animatore di compagnie amatoriali. In una di queste, messa su per l’allestimento di The frozen deep di Wilkie Collins nel gennaio del 1857, scrittura attrici professioniste: una di esse, la diciottenne Ellen Ternan, diventerà la sua amante provocando la rottura del suo matrimonio (la “disgrazia come uomo” cui allude Gissing e “donna invisibile” di un recente, bellissimo film di Ralph Fiennes) . Anche per la conseguente necessità di dover mantenere una famiglia diciamo allargata si inventa le letture in pubblico delle proprie  opere,  che faranno accorrere folle a pagamento entusiaste sulle due sponde dell’Atlantico (e daranno origine quel genere inflazionato e per lo più deprimente che sono oggi i readings). E diverse fonti testimoniano che fu proprio l’interpretazione intensissima dell’uccisione di Nancy dall’Oliver Twist nel reading della tournèe inglese del 1869 a sfinire la sua salute già minata, affrettandone la morte prematura nel  9 giugno 1870.

Il fatto è che la passione teatrale di Charles Dickens non era (non è) diversa dalla generalità dei sudditi di Sua Maestà. A metà del XIX secolo la Londra vittoriana era la capitale mondiale del teatro, non più privilegio esclusivo delle classi agiate. Le enormi masse che si riversavano nella metropoli, i progressi tecnici nell’illuminotecnica, le fastose scenografie e nuovi effetti visivi favorirono la popolarità dello spettacolo teatrale in un secolo – come fu detto – che produsse grandi spettacoli ma pochi grandi testi. Di qui anche il saccheggio, al riparo da un diritto d’autore ancora di là da venire e del quale Dickens fu uno dei primi apostoli, di opere letterarie. Capitò anche per Oliver Twist, del quale come per il Pickwick apparvero riduzioni per la scena prima ancora che fosse finita la pubblicazione a puntate sulla Bentley’s Miscellany (accadeva regolarmente, e nel capitolo 48 di Nicholas Nickleby c’è una preziosa testimonianza della rabbia dello stesso Dickens nei confronti di un thirsty dramatist: “se io fossi uno scrittore di libri e voi un drammaturgo assetato, vi pagherei, per quanto costoso, il conto alla trattoria per sei mesi piuttosto che dividere con voi una nicchia nel tempio della fama, per seicento generazioni, anche se vi doveste contentare del più umile angolo del mio piedestallo”). Si contano oltre quaranta teatri che misero in scena Oliver Twist in pochi anni in Gran Bretagna e  America (Forster scrive che a una di queste rappresentazioni, nel dicembre 1838 al Surrey Theatre, assistette Dickens stesso che, sgomento, si accasciò sul pavimento del proprio palchetto, non si sa se emozionato o imbarazzato). A testimoniare ulteriormente l’immensa popolarità dell’Oliver ecco già nel 1839 la versione per i toy theatres ad opera di uno dei magici autori di quell’arte, John Redington (l’altro grande nome è quello di suo genero, Benjamin Pollock, titolare di un negozio di giocattoli ancora esistente a Londra e onorato da un articolo di Robert Louis Stevenson che scriveva nel 1884 “se amate l’arte, la follia o gli occhi brillanti dei bambini, correte da Pollock!”). Quei teatrini di carta rappresentarono uno dei capisaldi dell’immaginario infantile vittoriano e furono fonte di ispirazione per gli artisti a venire: i  balletti russi di Diaghilev misero in scena nel 1926 a Londra con la coreografia di Balanchine un “Trionfo di Nettuno” le cui scene e costumi erano un omaggio ai toy theatres di Pollock. E  tuttora costituiscono un formidabile repertorio del decor, del gusto e delle gestualità attoriali della prima metà del secolo XIX.

Solo una civiltà la cui lingua ha Shakespeare come padre (così come noi italiani abbiamo Dante) poteva produrre un oggetto come il toy theatre: il teatro è un giocattolo, qualcosa che deve essere costruito e usato, qualcosa capace di fondare l’immaginario e dunque un punto di vista sul mondo. Ho pensato fosse giusto  e utile cercare in quelle immagini la possibilità di restituire oggi a teatro Oliver Twist. Per la fiducia che ho come lettore in Dickens, anzitutto. Per la convinzione che se una storia sta in piedi da quasi due secoli, una ragione ci sarà. Ed è da ricercare appunto in quei due secoli, nella distanza che ci separa da quel mondo. Ho sempre in sospetto le attualizzazioni: il rispetto filologico delle epoche, dei costumi, dei personaggi è una delle ragioni per cui il teatro è uno dei pochi luoghi in cui la forma sostiene il contenuto nel rivelarsi. Perché detesto lo zuccheroso-disneyano quanto l’impegnato a tutti i costi, e amo vedere sul palco non macchiette, pupazzi o personaggi eccessivi, ma esseri umani. Perché una storia di maltrattamenti, furti, omicidi e impiccagioni è anche “adatta ai ragazzi”. Che si dice  siano il pubblico di domani: constatazione banale e filistea che insulta il loro diritto di essere spettatori esigenti oggi. Con un piccolo vantaggio, tra l’altro: un bello spettacolo per ragazzi è bello per tutti.

Sante Maurizi