Compagnia di Teatro di innovazione, sperimentazione, infanzia e gioventù
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“InItalia”

 Comune di Sassari   assessorato alle Politiche Giovanili         
scuola-polo Liceo Canopoleno      progetto Scuole Aperte
                 anno scolastico 2010-2011

 13 maggio 2011 Convitto Canopoleno (Sassari, via Luna e Sole 44)   h 19

con Matteo Addabbo  Ludovica Anselmi  Carla Baldereschi  Martina Basoli  Agatha Cacciotto  Mario Cassano  Manuela Contena  Maria Carla Cossu  Chiara Cuccuru  Elena De Leo  Marco Demontis  Alessandra Doro  Daniele Foddai  Andrea Gennati  Bianca Mannironi  Claudia Manno  Elisabetta Milia  Valeria Masia  Chiara Nuvoli  Matteo Pinna  Gianmario Piredda  Massimo Pittau    Roberto Piu  Elena Poddighe  Daniel Rogerson  Mario Sanna  Sabrina Sanna  Federica Sini   foto di Carla Pinna
coordinamento Anna Maria Canneddu   Daniela Cossiga   Sante Maurizi  

Per le immagini di camicie rosse: courtesy  Museo Civico del Risorgimento – Bologna 

Dopo l’esperienza di Fratelli d’Italia del 2010, in occasione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia il laboratorio teatrale del progetto Scuole Aperte del Comune di Sassari (qui i ragazzi partecipanti) ha come oggetto una commedia e un dramma: I legittimisti in Italia di Luigi Suñer (1861) e I vincitori di Pompeo Bettini ed Ettore Albini (1896). Due testi teatrali che rappresentano personaggi e situazioni “risorgimentali”. Ne I legittimisti in Italia, scritto dal “tosco-cubano” Luigi Suñer, Gino Daltomiri, fervente patriota, ama la cugina Bianca, e trova opposizione nella nonna, contessa di Pianoerboso, vecchia reazionaria. In occasione del centenario dell’Unità la Rai trasmise la commedia nel 1961 per la regia di Flaminio Bollini. I vincitori (conosciuto anche come “La guera”), dopo aver vinto il concorso Siccardi indetto dall’Unione Lombarda per la pace, venne messo in scena al Carcano di Milano nel dicembre del 1901 a cura della Compagnia Stabile Milanese. Nella prefazione all’edizione del 1896 (qui in pdf) Filippo Turati scrisse di “un dramma che non ebbe solo un notevole successo teatrale, ma sollevò vivissimo l’interesse e le discussioni della critica. E meritatamente. E’ uno sprazzo di vita, colto dallo spirito critico e selettore degli autori nel caleidoscopio della vita villereccia contemporanea e portato di peso sul palcoscenico”. Il testo venne poi tradotto da Ettore Albini in dialetto milanese e messo in scena dal Piccolo Teatro di MIlano nel 1957. Pompeo Bettini fu tipografo e poeta, riscoperto da Benedetto Croce.

Il teatro del Risorgimento
«Per te, per te, che cittadini hai prodi, Italia mia, combatterò». Furono i versi della «Francesca da Rimini» di Silvio Pellico a risuonare nel teatro Civico di Sassari quel 26 dicembre del 1829 nel quale venne inaugurato. Non risultano testimonianze di come reagì il pubblico alla tragedia che  imperversava sui palcoscenici già da un quindicennio in patria e all’estero, e che fu l’opera teatrale più rappresentata di tutto l’800 italiano. Mentre è sin troppo facile immaginare Garibaldi udire quelle stesse parole e mormorarle fra sé mentre nel 1842 assiste con Anita allo stesso spettacolo da un palchetto del teatro di Montevideo.
Il teatro italiano dell’800 è il melodramma, il teatro cantato. Quello declamato è un teatro di attori e patrioti: Gustavo Modena in esilio a Londra che recita Dante con incredibile successo; Adelaide Ristori elogiata da Cavour come «la più efficace nostra cooperante nei negozi diplomatici»; Tommaso Salvini che accorre in difesa della repubblica romana e in tournèe a Mosca folgora Stanislavskij. Teatro di mattatori e non di testi, nessuno dei quali è sopravvissuto nella memoria o nel repertorio. Pure un teatro patriottico ci fu, ricchissimo in copioni, generi e compagnie che fiorirono sin dall’ingresso in Italia delle armate napoleoniche. 
La Francesca di Pellico divenne il prototipo del dramma storico-letterario che allude ai fatti del presente. «Il conte di Carmagnola» di Manzoni, «Giovanni da Procida» e «Arnaldo da Brescia» di Giovanni Battista Niccolini saranno i frutti più noti e maturi di una moda, parallela a quella letteraria, che nel 1830 Giuseppe Mazzini avrebbe analizzato severamente in «Del dramma storico», accusando i drammaturghi di astrattezza:  «La nuda rappresentanza dei fatti passati, esibiti senza chiave d’interprete e scorta di filosofia, rimane inferiore ai bisogni dei tempi e al progresso delle opinioni». Così i grandi attori preferirono mettere in scena i drammi francesi, Alfieri, Metastasio o Shakespeare piuttosto che «Pia de’ Tolomei» o «Francesco Maria Visconti». Fu proprio Gustavo Modena a scrivere a un giovane autore: «Ahimè, la politica fa sempre mala prova sulla scena, meno che in alcuni momenti di effervescenza popolare».
È vero che solo in quei momenti era possibile intravedere in platea un pubblico popolare. In assenza di esso, i drammaturghi italiani, letterati, scrivevano per la società dei letterati. Vecchio vizio dell’intellettuale cortigiano abituato a scavare fra i miti e il lessico del passato per confermare a se stesso e ai contemporanei di esser parte di un tradizione illustre. Solo alcuni come Pietro Borsieri, scrittore e patriota lombardo fra i più impegnati nella polemica anticlassicista, potevano scrivere già nel 1816: «Mancando noi di romanzo, di teatro comico e di buoni giornali, manchiamo di tre parti integranti d’ogni letteratura, e di quelle precisamente che sono destinate ad educare e ingentilire la moltitudine». E forse non è un caso, se la commedia doveva essere il genere adatto alla «moltitudine» (il «popolo» di Berchet, mentre Uzielli parlerà di «quella classe educata della società che sta intermedia tra letterati e volgo») che sia proprio una commedia uno dei testi meglio invecchiati dei ddecenni risorgimentali.
I legittimisti in Italia è uno dei copioni di Luigi Suñer, nato all’Avana da una ricca famiglia spagnola e giunto in Toscana nel 1852 (partecipò come volontario alla battaglia di Montebello). Gino Daltomiri, fervente patriota, ama la cugina Bianca, e trova opposizione nella nonna, contessa di Pianoerboso, relitto dell’ancien régime: è lei la legittimista convinta che «i principi fondamentali su cui riposa la società non passano di moda come le carrozze. Non tocca al popolo a giudicare i sovrani: esso è incompetente, l’aristocrazia sola lo può». La contessa, il marito – scettico e arguto, consapevole che i tempi sono cambiati -  e la nipote sono in vacanza in una località termale. Gino, ferito di recente alla battaglia di San Martino, vi arriva inatteso col padre, dando luogo a intrighi e peripezie che supereranno infine le resistenze dell’anziana tutrice, accusata dal nipote di «difendere sovrani che fanno comunanza per eternare le condizioni della nostra misera patria, che è stata fino adesso una specie di terreno neutro».
La commedia andò in scena con buon successo proprio 150 anni fa a Firenze. Mezzo secolo fa la Rai la mandò in onda per la regia di Flaminio Bollini, con Elsa Merlini nel ruolo della Contessa.
                                                                                                                                  Sante Maurizi

I legittimisti sono i vecchi aristocratici già assidui frequentatori delle piccole corti italiane e, dopo l’annessione al Regno di Sardegna, turbati, o talora divertiti, dalla franchezza democratica dei nuovi tempi. Legittimista è, nella commedia, l’anziana contessa di Pianoerboso, severa tutrice della giovane nipote innamorata di un cugino nobile ma animosamente liberale. Dinamico avvio alla briosa trama dei sentimenti e dei fatti rappresentati è dato dall’arrivo inatteso, nel luogo di cura balneare ove la contessa, il marito e la nipotina villeggiano, del cugino patriota. Il giuoco teatrale si svolge secondo le buone regole tradizionali: intrighi, sorprese, felici trovate sceniche d’irresistibile comicità per superare la resistenza della severa nutrice. Alla fine tutto s’aggiusta: la contessa s’arrende, non rinunzia alle sue opinioni, non perdona il nipote ma gli concede in moglie l’amata pupilla. Il valore del testo supera il giuoco. In questa commedia patriottica (nel II atto il giovane liberale racconta diffusamente le fasi salienti della battaglia di San Martino in cui era stato ferito) troviamo infatti il segno d’un autore maturo, capace di osservare lucidamente vicende e uomini del proprio tempo e di rappresentarli con sensibilità, misura, vigile arguzia. Perciò la sua commedia è piacevole e i suoi personaggi simpatici (anche quelli che la convenzione teatrale e la polemica patriottica vorrebbero odiosi). Persino la contessa è, infatti, nonostante le sue ubbie, una degna nobildonna e un’assennata parente.  (…)  Ambientato in un paese lombardo prossimo al Piemonte il dramma I vincitori presenta le vicende della famiglia di un possidente terriero e in particolare dei suoi due figli Luigi e Cesare durante il ’59. Luigi, compromesso nei moti milanesi del ’53, attivo tramite per la fuga dei giovani lombardi in Piemonte, invano sollecita a partire con gli altri il fratello Cesare, ex seminarista alieno dalla violenza. Cesare se ne andrà soltanto quando Ortensia, la cugina di cui è innamorato, glielo chiederà come prova d’amore. Scoppiata la guerra Luigi, che è rimasto a casa, si toglie la maschera patriottica e moralistica, seduce la cugina Ortensia e, per viltà, lascia fucilare un ragazzo innocente che era stato trovato dagli Austriaci in possesso di un fucile (che è di Luigi). Dopo la vittoria dei piemontesi, Luigi specula sui propri meriti di cospiratore e con l’aiuto di alcuni avventurieri intraprende la carriera politica. Ma Cesare, che è tornato ferito e decorato dal fronte, sconvolto dal tradimento di Ortensia, dal provocante oltraggioso contegno di Luigi, dalla sua abbietta ipocrisia patriottarda, durante un improvviso diverbio l’uccide.  Amarissimo dramma di persone e di giorni infelici e colpevoli, impietosa satira dei vigliacchi camuffati da eroi, dei profittatori delle vittorie risorgimentali, dei nuovi politicanti arrivisti, controcanto triste al coro festante dei troppi autori ottimisti, severo richiamo all’impegno reale d’una autentica moralità personale come solida base per l’assetto sociale e politico del nuovissimo stato, I vincitori pessimisticamente conclude la secolare vicenda del teatro ispirato alla storia e alla cronaca risorgimentale.                                           Federico Doglio, in Teatro e Risorgimento, Cappelli, Bologna, 1961

Per approfondire:
150 anni: bel sito del MIUR.   Un’utile TimeMap del Risorgimento sul nuovo sito della Rai dedicato ai 150 anni dell’Unità.   Scarica Canti e poesie per un’Italia unita, pubblicato dall’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei.